Questa «cantata»
drammatica, versificata da anonimo sulla classica quartina derivata dai
poemi in ottava rima di tradizione sia popolare che di corte, appartiene
a quella stessa area geografica e culturale, la Garfagnana, in cui si
conserva tuttora il Maggio, altra forma di teatro epico popolare.
In questo caso spiccano da una parte la storia, quasi interamente
centrata sulla figura di Erode, insieme punito (della strage degli
innocenti) e salvato dal suo stesso dolore (dal fido esecutore dei suoi
ordini gli è stato inavvertitamente ucciso l'unico figlio), dall'altra
l'esecuzione in forma di «assolo» che interviene sulla «cantata» nel
senso di renderla, oltre che più agile ed immediatamente fruibile, più
vicina al canto di strada e al narrato popolare.
L'affidare la partitura ad una sola voce e ad un solo attore (in questo
caso attrice), che con nudi e stringatissimi accorgimenti scenici muta
continuamente di personaggio, condensa il dramma ed esalta la catarsi
finale.
In tal modo la sacra rappresentazione diventa altro da quello che fu, ma
l'intervento e l'apporto personale del cantore, come del maggiante erano e sono parte costitutiva della
tradizione, concepita non in senso meramente archeologico-conservativo,
ma di patrimonio vivente.
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